sabato 19 dicembre 2009

Grazie a Ste, in arte Akitob, ecco il proseguio dell'avventura! Buona lettura!

DM
Una cosa non tollero: essere svegliato in maniera brusca!
Ebbene, quella notte, come in realtà molte altre volte, l’elfo mi aveva scosso per aiutarlo a respingere l’assalto tentato contro la nostra compagnia da un vecchio e da due miseri cavalieri. Stupido elfo incapace. Più utile a fiutare in terra la pista di qualche animale che a dar manforte in battaglia.
Ora tutto tace; posso rimettermi anche a dormire, quando ancora una volta l’elfo suggerisce di spostare l’accampamento. Subito, durante la notte, verso il fiume. Qualche battibecco, ma ci incamminiamo, lentamente, stancamente, spossati da tante avventure, da continui scontri, dall’età che avanza, dall’incertezza che accompagna noi e il ragazzo. Bah, il fanciullo che sta così a cuore al giovane ed ambiguo paladino. Per ora ho deciso di non badarci molto, di stare ai patti della compagnia più per tornaconto e comodità che per altro, ma la pesante barra di Mithrill puro che tiene in mano brilla e mi ferisce quasi gli occhi.
Immerso in questi pensieri, trascinando il piede posticcio nel fango, ma soprattutto trascinando il maledetto chierico, svenuto per una banale mazzata sul capo in combattimento, pesante, pingue, troppo onesto, sempre dalla parte del giusto, sempre ossessionato dall’Onda, troppo spesso immerso nelle sue litanie, anche quando infuria lo scontro, mi accorgo che siamo giunti alla nostra meta: un fiume torbido e vorticoso. Un turno di guardia con la mia fedele pipa a rinfrancarmi e albeggia. O meglio si intuisce il giorno attraverso una fitta foschia. Un rumore in lontananza, un nemico? No pecore…si mangia carne fresca? Per ora no. L’elfo non resiste, corre dietro a quell’irritante belato. Torna non molto tempo dopo con al fianco un uomo, un ometto insignificante che si presenta come il pastore, null’altro. Se non altro ci offre di accamparci a casa sua finchè Argail non si sarà ristabilito e Gooose, il mago astuto e valoroso, non riacquisterà i suoi poteri.
E trascino ancora una volta il chierico comatoso.
La casa è una bettola, maleodorante e decrepita; la moglie del pastore invece una bella donna, ma non ho intenzione di arrecare troppo disturbo, non la importunerò.
Appoggio la mia poderosa ascia bipenne sul tavolo, e i due sussultano! Chiedo, quasi con gentilezza, qualcosa per sfamarmi e dissetarmi e piagnucolando mi servono cibo ammuffito e birra vecchia e calda. Il mago sale a “meditare” (chissà poi cosa fa quando si ritira così a lungo). Il chierico viene posto a letto a riposare, così come il fanciullo ed il paladino Leah che si sdraiano insieme al suo fianco.
L’elfo, invece, forse intimorito dalla coppia, tira fuori una moneta d’oro, e la dà al pastore che osa pure lamentarsi. Puntualizzo con cortesia nanica, che è già di gran valore e che non otterrà altro se il servizio sarà questo. Poi escono. Resto solo con la donna. Intuisco che il mio aspetto bellissimo, di nano seducente e maturo la colpisce. Provo a rivolgerle qualche domanda sui druidi, su Armon, sulla foresta di Myr, ma per tutta risposta si mette a piangere. Gli umani sono difficili da capire.
Continuo a bere. Il giorno passa tristemente e lentamente, ma arriva sera. Il buio cala in fretta e con lui una sensazione di freddo e di disagio: un brutto presentimento. La birra mi scalda, ormai ne sono assuefatto. Per la cena, vista la pochezza dell’ospitalità provvedo da me macellando un bell’agnello e offrendolo gentilmente alla signora di casa perché lo cucini. Il risultato è quasi apprezzabile.
Il chierico si risveglia, è provato ma arruolabile. Gooose mi lancia una sfida nel bere e non posso certo tirarmi indietro. Argail ritorna in camera col ragazzo e l’elfo, la coppia si ritira, mentre io insegno al maghetto cosa vuol dire saper bere. All’improvviso Leah lancia un segnale d’allarme, si sarà sbagliato, è giovane e inesperto e ancora troppo precipitoso. Il buio l’avrà ingannato. L’elfo si precipita fuori, Leah insiste; d’accordo, che sarà mai. Esco, il mago alle mie spalle sull’uscio e mentre provo ad abituarmi all’oscurità e a focalizzare l’infravisione una luce abbagliante mi colpisce in pieno petto scaraventandomi contro il muro della casa. Beh, qualcuno c’è! Mi rialzo prontamente appena in tempo per vedere, lluminato dalle luci che il pronto Gooose ha invocato, il vecchio della notte prima materializzarsi davanti a noi. In lontananza il galoppo di due cavalli: bene, possiamo continuare da dove avevamo interrotto. L’elfo attacca, il vecchio risponde, Leah si difende come può. Gooose non capisco cosa combini, però sembra strano. D’un tratto si concentra distende le braccia nella posa per lanciare i suoi dardi e all’ultimo si gira di scatto! Io , probabilmente intontito dal colpo di prima, manco due volte il vecchio colpendo Leah che fa fatica ancora a capire dove posizionarsi in duello: peggio per lui. Finalmente va a segno anche un colpo modesto di piatto della mia ascia. D’un tratto, l’elfo, agendo più per caso che con cognizione finta un attacco con la spada lunga, mancando di proposito l’avversario, e con la spada corta mozza di netto la mano destra del vecchio. Terrorizzato questo unisce i bracciali e saetta dentro casa.
Ma Argail cosa starà facendo? Dall’alto si ode un trambusto. Sciocco lui e le sue stupide mezze magie; estragga la spada piuttosto.
I cavalieri si fanno sotto. Leah corre dietro al vecchi per soccorrere il ragazzo. Gooose si è ripreso e praticamente da solo elimina un cavaliere bruciandolo col freddo.
L’altro carica me e l’elfo che con abilità trancia i legamenti del cavallo facendo precipitare a terra chi cavalcava. Ora siamo tutti alla pari Comincia uno scontro duro, aspro, lungo. I colpi non sempre vanno a segno, l’oscurità ed il precedente duello hanno fiaccato le mie energie. Ma da esperto guerriero quale sono, con l’aiuto stranamente valido dell’elfo chiudiamo lo scontro con la vittoria.
Poi un tonfo. Faccio in tempo a “correre” dietro la casa per vedere un terzo cavaliere morso sul collo da Gooose e improvvisamente svuotato di ogni sua energia, il vecchio che mentre cerca di caricare il ragazzo sul cavallo viene mortalmente ferito da Leah e Argail che si rialza completamente inzaccherato: sarà caduto dalla finestra?
Spogliamo i cadaveri dei loro averi, qualche denaro, qualche arma, i bracciali del vecchio, le armature. Carichiamo tutto sul cavallo rimasto e rientriamo in casa, o meglio in quel che resta della casa. Il vecchio saetta ha prodotto parecchi danni. Il glifo di guardia, brillante idea del chierico per proteggere il ragazzo, di certo non ha giovato alla stanza di sopra. Faccio finta di non vedere quindi la saccoccia con 100 monete d’oro che Argail allunga al pastore, finalmente rincuorato da qualcosa: vecchio avido.
Sul tavolo il biglietto trovato sul corpo del vecchio: “Avvistati ad ovest del fiume. Uccideteli tutti. Portate in città presso il magazzino la testa del ragazzo sotto sale”
Chi l’avrà scritto? Chi può volere una simile atrocità? Quanto oro deve possedere per potersi permettere dei mercenari abili quanto il vecchio ed i suoi compagni?
Ma ancora una volta nessuno mi ascolta, la compagnia ha deciso di andare a cercare Armon nella foresta di Myr…sì proprio quella su cui regna incontrastato signore e padrone il temibile drago verde Ake.
Provasse l’elfo a sfruttare con lui la sua empatia animale!
Grazie a Matte, in arte Jiriki, il nouvo post della grande avventura: Ecco gli orchi!

Buona lettura!

DM

Orchi

Non finiranno mai di stupirmi, i figli del tramonto. Vivo nelle loro terre da un tempo che equivale a diverse loro vite, li osservo da quando ho lasciato la Verde Madre – il mio canto allora era giovane – ma ancora restano un mistero. Non somigliano ad alcuna delle creature che i Primi Antichi plasmarono dal Silenzio con le prime note della musica che ancora muove il mondo. La loro radice è giovane, e selvatica, e carica di vita. Come l’edera che in una stagione cresce sui tronchi fino a prendere il sole che le querce antiche hanno guadagnato in mille lune, così la loro stirpe si getta in avanti, cammina senza grazia su terreni che erano antichi quando il loro primo avo era in fasce. Usano il Canto senza sapere nemmeno cosa sia, ed è straordinario come siano portati, come il Canto prediliga la loro stirpe senza memoria. Mago, si fa chiamare, il figlio d’uomo che mi ha appena raggiunto sulla cengia di roccia fuori dal fortino; il Canto lo ha quasi perduto, più di una volta, ma continua a scavare in una storia non sua, e annota sul suo grimorio i nomi distorti di ciò che incontra scavando, come farebbe Akitob il Nano nelle sue miniere. Li ho visti discutere innumerevoli volte, ho visto la diffidenza del nano per quella che chiamano magia trasformarsi spesso in rabbia – e paura, anche se il guerriero non lo ammetterebbe mai – senza rendersi conto che entrambi non fanno che cercare un tornaconto, uno in ricchezza, l’altro in potere, da una terra e da una forma di vita che li sovrasta. Si somigliano molto più di quanto le apparenze direbbero. Quello che non somiglia a nessuno degli uomini che ho visto maneggiare il Canto è il ragazzo. E’ comparso qualche istante fa dal tunnel alle nostre spalle, assieme a Leah, la sua ombra, e ora, dopo le ore in cui sembrava ormai perduto nella malia della voce antica, nemmeno il suono assordante dei corni di guerra sembra raggiungerlo nella sua ritrovata serenità. Il ragazzo non pone resistenza al Canto, non lo cerca, non lo manipola. Il Canto gli passa attraverso come ad una porta: la sua volontà è come acqua di sorgente, che non sporca e non rallenta il fluire del potere. La gente del chierico ci ha chiesto di proteggerlo, ma inizio a dubitare che sappiano esattamente chi o cosa sia. E’ mortale, questo è certo, come sono mortali tutti quelli che in questo momento scrutano con me le chiome del bosco ai nostri piedi nella speranza di intuire l’origine del suono incessante. E’ ora di farli scendere, e di riportarli a Triel. Fingo di essere troppo impegnato con l’imbragatura del nano per rispondere quando Leah mi chiede se io sappia riconoscere il suono cupo dei corni, che sembra venire ormai da ogni direzione, ma mentre, per ultimo, mi calo dallo sperone di roccia, sento tra le mani Elebron, il mio arco perduto, e il pungente odore di resina e sottobosco viene sopraffatto dal lezzo delle pelli marce, delle loro sudicie bocche, del cuoio e del grasso rancido e per un istante rivedo al mio fianco la falange delle Frecce di Felce, alle porte della Città d’Estate, e davanti a noi la verde, putrida marea degli orchi di Staknag, il latrato dei corni di guerra contro il nostro canto di battaglia. Non si tratta più solo di un ricordo: ora che siamo nel bosco sento chiaramente il loro odore. Sono tanti, e non c’era bisogno del mio olfatto per capirlo, ma c’è qualcosa di peggio. Gli orchi sono creature di terra e Canto, frutti marci di un albero sano, ed è normale che conservino, mista al fetore, l’essenza delle Parole di Nascita, ma l’aria del bosco è impregnata di Parole meno antiche ma altrettanto potenti. I pelleverde che stanno facendo vibrare la terra hanno addosso il marchio di qualcuno che ha radici profonde, e oscure. “più svelti!” grido ai miei compagni. Achitob mi guarda storto, una maschera di sudore, mentre cerca come meglio può di tenersi in equilibrio sulla torcia che gli funge da gamba. Continuando la marcia, mi preparo ad apprezzare quanto sia appropriata la lingua nanica per gli insulti, ma qualcosa trattiene la lingua – abitualmente così svelta - del nostro guerriero. Il fiatone, penso, o forse la consapevolezza che l’orso, se non fosse stato per me, si sarebbe potuto prendere più che la sua gamba di legno, in cambio della sua avventatezza. Davanti alla porta orientale di Triel, ai fragili battenti di tronchi di legno, è quasi un sorriso quello che mi sale alle labbra davanti alla cocciuta illusione umana della difesa, della separazione, della delimitazione del dentro dal fuori. La Città d’Estate non ha mura, eppure non ha mai capitolato, in millenni di splendore. Le fragili mura di Triel, attorno a cui la povera gente si affanna, in preda al panico, tremano già adesso. I suoi difensori, le cui teste si affacciano impaurite sugli spalti, sono contadini ed artigiani, e nemmeno il coraggio di qualunque animale che difenda la propria tana può trasformarli in guerrieri. Tantomeno se alle loro porte stanno per presentarsi i Nati dalla Palude. Jorinson ci viene incontro appena varcata la porta, che viene chiusa e sprangata alle nostre spalle. “Orchi” dice “a centinaia. Forse migliaia. Sono comparsi dal nulla. Le sentinelle, quelle che sono rientrate, dicono che se li sono trovati davanti senza avere udito un solo suono.” Guardo i miei compagni: a parte il giovane Leah, che osserva con sincera compassione i preparativi degli abitanti impauriti, mentre istintivamente avvicina a sé il ragazzo, gli altri hanno una luce che già altre volte ho visto. Forse è la parola “migliaia” a rendere così allettante la prospettiva. Forse invece il fatto che, a differenza degli abitanti di Triel, per noi sarà solo un’altra battaglia, e non la fine di una vita a cui il patetico muro di tronchi dava una parvenza di sicurezza. “Ho degli ordini per…” riprende Jorinson, alzando la voce per sovrastare il suono dei corni e i richiami allarmati degli abitanti, ma Akitob, scostando con la sua consueta grazia il mago e il chierico, gli si para davanti, picchiettando con l’ascia la sua gruccia d’emergenza “Voglio una gamba, e che sia di ottima fattura. Non fra un giorno o due, non li abbiamo. La voglio ora!”. Quello che non ha fatto la notizia dell’imminente assedio, lo fa il nostro nano pirotecnico: un cerchio di occhi stupefatti si volge all’unisono verso il nostro guerriero, ma non sono che il vago riflesso dello sbigottimento di Jorinson. Se Akitob avesse chiesto dell’idromele aromatizzato alla cannella, probabilmente la cosa sarebbe suonata più adatta alla situazione. Dopo diversi minuti di accesa discussione – dalla quale, affilati dall’esperienza, ognuno di noi si è tenuto sapientemente fuori – ed un accordo strappato a fatica di tentare il possibile per la gamba di Akitob nel poco tempo a disposizione, il falegname ci informa che il villaggio è circondato, e la nostra unica via di fuga risiede in Raili, la chierica di Triel, che sta preparando al tempio il rito necessario a portarci via da qui. Teletrasportarci, è il termine che usa Jorinson. I figli del tramonto hanno imparato a maneggiare uno dei Canti più potenti, la Parola di Spostamento, e gli hanno anche trovato un nuovo nome. Al pensiero dell’ultimo Spostamento, ricordo come anche in questo la natura umana segua la Via dell’Edera: dovendo imparare nello spazio di una vita così breve quello che solo i nostri Primi Avi, dopo secoli, si azzardano ad usare, gli Spostamenti cantati dagli uomini sono pericolosi, e di sicuro poco piacevoli. Se un Mago Rosso di Thai ci ha fatto sfiorare la Non Esistenza così da vicino, preferisco non pensare a cosa potrebbe comportare essere cantati da una chierica di villaggio. Le prime salve di frecce iniziano ad arrivare a Triel, seminando il panico tra gli abitanti, quando decidiamo di separarci: il villaggio ha troppe porte da difendere e Raili ha bisogno di tempo per preparare il Canto. Leah, il Cantore e Argail si dirigono verso il tempio, che è a pochi isolati dalla porta, verso sud, mentre io ed Akitob decidiamo di tenere la porta di nordest. Io mi occuperò di gestire gli arcieri, Akitob… beh, il nano non ha esattamente le doti del condottiero, immagino che gestirà l’eventuale attacco da terra alla sua maniera: come il cinghiale. Solo con le sue zanne, ascia bipenne e forza fisica. Raggiungo gli spalti – poco più che una passerella di tronchi in cima alle mura – e trovo già alcuni arcieri a terra, gli altri, atterriti, se non si tengono rannicchiati contro la palizzata, tirano senza costrutto a bersagli troppo lontani. E pressoché invisibili, avvolti come sono in una nebbia che di naturale ha davvero poco. Una Voce la muove, è fin troppo evidente. Uno scudo sfilacciato di bruma avvolge i ranghi degli orchi mentre si avvicinano alla palizzata. Incocco e tiro ad un orco bruno, piuttosto alto e robusto, armato di un’ascia – un caporale, per quanto si possa applicare una gerarchia a queste bestie snaturate. Cade a terra, con un grugnito strozzato. Il Canto li protegge solo dalla vista, la loro carne marcia è vulnerabile: lo scontro sarà più equo, tolta la sproporzione numerica. La Verde Madre insegna che un solo abete può togliere il sole a tanti arbusti, prima di cadere. I pelleverde iniziano a sciamare, dalla nebbia, con grida oscene. Pochi esemplari indossano corazze, in campo aperto sono tutti tiri facili. Quasi inconsciamente intono la Nenia del Pastore di Stelle, mentre restituisco alla polvere quello che non ne sarebbe mai dovuto uscire. Alcuni arcieri di Triel, al mio fianco sugli spalti, si tolgono dai ripari e cominciano a tirare sulla marea verde che via via si avvicina alle mura. “Puntate al collo, e ai fianchi. Tirate a bersagli facili e vicini” dico loro. Non sono certo le Frecce di Felce, ma sotto i nostri colpi, i corpi a terra sotto la porta di nordest iniziano ad aumentare: la Nenia non è un Canto vero, di solito la uso per ammansire gli animali, ma il cuore si somiglia in tutti i figli dei Primi Antichi, e per certi versi i Figli dell’Edera sono più vicini agli orsi delle grotte di quanto credano. L’attacco per ora sembra solo un tentativo di assaggiare le nostre difese, almeno in questa zona delle mura. Da terra, Akitob mi grida che hanno sfondato più a sud, e ce li ritroveremo presto addosso dalle spalle. Il tono è quello gioviale con cui di solito annuncia il ritrovamento di un barile di birra o di una scatola di tabacco: il nano si sta annoiando. Rivolgo lo sguardo verso il limitare della nebbia; Akitob a breve potrebbe avere più lavoro di quanto ne desidera ora. Una fiamma sta correndo lungo la linea degli arcieri orchi; c’era da aspettarselo “frecce incendiarie!” grido. Tra le grida di sgomento, Akitob ribatte “Sì, ma loro? Quando arrivano le dannate bestie?”. Arrivano, e tenteranno di farlo dalla porta principale, a quanto pare: quattro di loro, grossi quasi il doppio di un esemplare di taglia media, hanno appena trascinato davanti allo schieramento il loro ariete da assedio, un ciclope che potrebbe essere alto come gli spalti da cui grido ad Akitob “La tua pazienza sarà premiata presto, nano! Potrai bagnare l’ascia nel sangue di un ciclope!” Gli aguzzini del ciclope stanno frustando a sangue la creatura, che lancia grida disumane sollevando da terra gli enegumeni che lo trattengono per le catene. Avrò solo un tiro buono, quando lo scaglieranno contro la porta. Cerco nella faretra la freccia migliore – lavoro non facile, per chi è abituato alle jao-e-maia, la Mani Lontane – e intono su di lei la Nenia del Buon Viaggio. Incocco proprio nel momento in cui, con un clangore di catene, il ciclope viene liberato. Folle di rabbia, in un attimo è sotto le mura. Lascio andare la corda, rilascio il respiro, e un istante dopo un ululato fa tremare le mura e gli spalti. Il ciclope barcolla all’indietro, si porta le mani al viso, e le dita gli si arrossano di sangue. Cieco e folle di dolore, il mostro comincia a menare fendenti con le sue enormi leve, schiantando e lanciando in aria gli orchi più vicini. Gli arcieri, fino ad un momento prima ammutoliti dal terrore per la comparsa della creatura, emettono un ruggito di trionfo, e rafforzano le salve di dardi sui pelleverde in rotta. Il primo colpo del ciclope sulla palizzata fa vibrare l’aria stessa, un urto che manda a terra la maggior parte della linea di tiro, mentre un sinistro rumore di legna spezzata genera grida di angoscia nella fanteria di Triel ai piedi delle mura, e un “Ha!” di esaltato entusiasmo da parte di Akitob, che vedo calarsi l’elmo in testa e brandeggiare la massiccia ascia nanica. Altri due colpi alla cieca vanno a segno sulla palizzata, che si schianta in un punto poco più in là della mia posizione. Questione di istanti, e la marea verde è dentro le mura, e con grida di gioia selvaggia si lancia sul manipolo di fanti, capeggiati da Akitob. Tirare sugli orchi in schermaglia non è più tanto facile, ma riesco a piazzare ancora qualche freccia nelle viscere degli odiosi attaccanti. Dalla mia posizione elevata è però fin troppo chiaro che lo scontro è impari. E’ tempo di ripiegare verso il tempio, e sperare che la chierica abbia completato il Canto. Balzo oltre la breccia, e lancio ad Akitob, impegnato in uno scontro con una decina di orchi, una corda. “Vieni su, dobbiamo raggiungere gli altri!” il nano esita qualche istante, contrariato, ma alla fine si fa issare sugli spalti “Guastafeste!” mi grida dietro, mentre mi segue lungo il camminamento delle mura. Dopo duecento passi, tra i tetti e le case di Triel compare, a pochi metri dalle mura, un edificio di pietra bianca, spartano ma curato. Sul lato che affaccia sulla strada, una via ampia se paragonata ai vicoli angusti di Triel, una massa informe e scura, simile a nebbia, impedisce di vedere, dalla nostra posizione, gran parte della facciata del tempio. Gooose il Cantore è ancora vivo, e in piena attività. “Altri orchi, laggiù, oltre il Canto di Oscurità!” dico ad Akitob, indicando un manipolo di pelleverde armati di spada. Con un’agilità inattesa in un nano con una gamba di legno, il mio compagno si lancia dagli spalti e corre verso la mischia, nella quale riconosco le vesti clericali e la spada di Argail. Ripongo l’arco, e metto mano alle spade: è arrivato il momento di vedere da vicino il marciume, sentire sul volto il suo ultimo respiro. Mentre faccio fronte con Akitob ed Argail contro gli orchi che riescono ad attraversare una specie di Canto di Inibizione che Gooose ha posto davanti a noi, realizzo che Triel è perduta, e che stiamo per lasciare centinaia di vite in balia della ferocia orchesca, fuggendo. Il ragazzo è il nostro lasciapassare per una salvezza che verrà invece negata agli abitanti della cittadina. Colpisco con tale rabbia il pelleverde sbavante che mi si para davanti da tagliarlo quasi in due, mentre il suo sangue mi schizza addosso. Sto per lanciarmi in avanti quando Argail dice, con voce innaturale “Il Portale è aperto, venite, presto!” “E Leah? E il ragazzo?” chiede Akitob. “Sono nel tempio, al centro dell’Oscurità… Leah! Mi senti? Uscite di lì, Raili è pronta!” grida il Cantore, prima di girarsi verso l’ingresso del giardino sul fianco dell’edificio, dove, vengo a sapere, la chierica ha aperto la Strada Senza Terra. All’interno, un’umana minuta, dai tratti delicati ma dallo sguardo fermo e segnato da una concentrazione altissima sta, con le braccia divaricate e le mani aperte, di fronte ad una Porta, uno spazio di luce cangiante che riverbera le piante attorno di raggi liquidi di luce. “Dove è il quinto? Svelti, non posso tenere aperto il Passaggio per molto!” dice, rivolta a Argail, la donna, con un filo di voce stravolta dallo sforzo. “Leah e il ragazzo saranno qui a momenti, Raili, non temere” le risponde il chierico, e la frase quasi gli muore in gola quando vede lo sguardo della chierica stravolto dal terrore. “Sei? Siete in sei?? Il Portale consente il passaggio di solo cinque persone!” Quasi facesse eco alle sue parole disperate, la Porta per un istante vacilla, e la luce perde di intensità. Seguono istanti di totale silenzio, in cui ognuno di noi valuta la portata di questa notizia. Chiunque resti indietro è perduto; il Canto di Inibizione non terrà a lungo, e comunque gli orchi sono dentro a Triel, il destino di chi resta a questo estremo della Strada è segnato. La voce di Argail rompe il silenzio proprio nel momento in cui Leah e il ragazzo entrano trafelati nel giardino “Resto io” poi, rivolto al paladino “Leah, andate prima tu e il ragazzo: ricordati, la sua vita e la sua salvezza contano più di ogni altra cosa”. Il giovane guerriero non ha bisogno di spiegazioni, lo sguardo che gli sta rivolgendo Argail è talmente determinato che lui e il ragazzo varcano la Porta senza quasi fermarsi. Gooose li segue, salutando con un cenno del capo, una sorta di inchino, il chierico. E’ il mio turno di passare. “I Primi Antichi veglino sui tuoi passi, figlio del Tramonto”. L’istante dopo, è buio e vertigine.